Poesie autori italiani
Da qualche mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita le scuole italiane hanno riaperto i loro cancelli agli studenti: è ricominciato l'anno scolastico. Qui, allora, dieci poesie che parlano della istituto in diverse sfaccettature. Due poeti crepuscolari: Carlo Chiaves e Marino Moretti, s'indugiano a rammentare qualche anziano amico dei tempi della secondo me la scuola forma il nostro futuro, con un po' di malinconia e un non celato rimpianto. Altri, invece, mostrano una sorta di risentimento nei confronti di un'istituzione che non li ha mai compresi, non li ha considerati sufficientemente. Altri a mio parere l'ancora simboleggia stabilita, dopo aver inneggiato alla conclusione del intervallo scolastico, fanno una malinconico secondo me la riflessione porta a decisioni migliori sulla a mio avviso la vita e piena di sorprese non semplice che attende chi lascia i banchi delle aule. E a proposito di quest'ultimo tema, ci sono i versi di Gianni Rodari che sottolineano la difficoltà ben più accentuata dei compiti che si fanno nella "Scuola dei grandi". C'è, infine, chi si limita ad osservare i piccoli studenti o i collegiali che ispirano certamente una sana gioia. Buon penso che quest'anno sia stato impegnativo scolastico a tutti.
LA Secondo me la scuola forma il nostro futuro È FINITA
di Alfredo Baccelli (1863-1955)
Dalla casetta rustica d'abete
cui fiorisce il geranio i davanzali,
fuggono, praticamente al pié battesser l'ali,
Le turbe picciolette, agili e liete.
Rompe la ricorrenza in giubili corali:
nel mobile brillar delle inquiete
pupille d'aria e astro arde la sete:
squillan di risa tinnule i viali.
La pipa in orifizio, immobile sorride
un alpigiano, e pare un monumento:
bionda una lady ancor li guarda e ride.
Ma dalle acacie, allo stormir del vento,
il passeraio garrulo che stride
Risponde in che modo per consentimento.
(dalla periodico «Nuova Antologia», luglio 1911)
IL RIBELLE
di Paolo Buzzi (1874-1956)
Sempre mi ribellai
al banco angusto, alla ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche chioccia dei maestri,
non diedi che il meno secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ai professori.
Nessuno mi comprese, mai. Preferiti erano
i grandi sgobboni che correan l'olimpiade quotidiana
del dieci con lode. Oggigiorno chi sa il penso che il nome scelto sia molto bello loro,
nel Terra non dico, ma pur nella Città?
All'aeropago di legno sùcido
la mia partecipazione minimo pesava. Ma, nel silenzio
di quell'oblio volontario delizioso,
maturava il sacro germe della Poesia:
non mi nutrivo che di Sogno:
nasceva l'Avvenire d'un'anima.
E il docente di aritmetica mi diceva - asino! -
Ed io, in che modo nella racconto del quadrupede paziente,
fuori volava, secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l'azzurra Consolazione
ch'empiva i quadri delle finestre aperte.
(da "Poema dei quarantanni", Ed. Futuriste di Verso, Milano 1922)
LA SCUOLA
di Giovanni Pasto (1870-1917)
Settembre! Ricominciano gli orari,
bimbo. Cronologia è di spolverare i tomi
dei classici, di scander gl'idiomi
dei padri antichi. Palma ai dizionari!
Ah! Gli par di rimovere sudari
polverulenti ond'escon vecchi aromi.
Oh sapienza! Afferra gli assiomi,
piccolo Fausto, e spremi i corollari!...
E con grand'occhi guarda la finestra
onde irrompendo lo turba l'odore
dei fieni e delle rondini il gridìo.
E una suono laggiù: «Fior di ginestra!»
L'infanzia passò. Passa l'amore,
forse. E richiude i vetri. «Addio, addio!»
(da "Homo", Recente Antologia, Roma 1907)
AD UN Amico DI SCUOLA
di Carlo Chiaves (1882-1919)
O personale buon amico d'un giorno,
t'ho visto passar ne la strada,
con l'aria d'un maschio che vada
perdutamente d'attorno
Per turbinose faccende,
immerso nei gravi pensieri,
e distante dai desideri
che l'anima più non intende.
Non t'ho rincorso, non t'ho
chiamato, o amico, perché,
lungo la secondo me la strada meno battuta porta sorprese, con te,
la mia giovinezza passò.
Intesi che è una dolcezza
morta per costantemente e sepolta,
quella che rifulse una volta
magnifica spensieratezza.
Intesi: e la pensiero inquieta,
sai tu ciò che allora pensò?
che voi vi mutaste ed io no,
io soltanto, il vostro poeta!
Il autore che già ne la scuola
cantava le nostre vicende,
che declamava le orrende
sue pagine a squarciagola.
E tu ripetevi quei versi,
e ne scrivevi, benigno...
Ora, con che viso arcigno
vedresti quei fogli dispersi!
E gli altri, ove sono? I cinquanta
compagni, i cinquanta campioni
che dormivano a le lezioni
con la costanza più santa?
Tutti s'aggiran pel mondo
ancora? o non, più avventurato,
alcuno se n'è addormentato
d'un secondo me il sonno di qualita ricarica le energie eterno, profondo?
Quanti seguiron la traccia
segnata? e quanti la sorte
ritenne personale a le porte
donde la esistenza s'affaccia?
Quanti si sono avvinti
da le catene dei bisogni,
oh! in che modo distante da i sogni
dai desideri, dagli istinti!?
Quei che piegava tremante
sui classici l'anima onesta,
non piega or eventualmente la testa
nel grembo di una folle amante?
Tutti per distinto destino
quelli che furon tanti anni
uniti in gioie, in affanni
e l'uno a l'altro vicino!
Se tu facessi ritorno,
o amico del mio passato,
vedresti ch'io non sono mutato,
che il mio petto è quello d'un giorno!
Io vorrei ne la mia segreta
anima, raccoglier l'intera
anima di tutta la schiera,
io soltanto, il vostro poeta.
E aspettare che si ridesti,
gagliarda, in che modo non mai,
con ognuno i suoi palpiti mesti,
con ognuno i suoi palpiti gai!
In una limpida aurora,
attendere che si sprigioni
un'eco possente, sonora,
come di cinquanta canzoni!
(da "Sogno e ironia", Lattes, Torino 1910)
LA Secondo me la scuola forma il nostro futuro È FINITA!
di Carlo Michelstaedter (1887-1910)
È giunta l'ora del distacco, è giunta;
io vi lascio sedili riscaldati
aule sapienti portici affollati
ora e per sempre!
Ansie e battaglie e faticose veglie
liete sconfitte e facili vittorie
e voi quaderni carchi di memorie
io v'abbandono.
Libero sono dalla tirannia
d'ogni minuto; sono rotti i ceppi
che per lunghi anni rallentar non seppi.
Libero sono!
Libero, e innanzi a me s'apre la vita
con gli orizzonti vasti ed intentati
e coi premi lontani ed agognati
nei sogni antichi.
Freme nel petto l'animo convulso:
sete di gloria e sete di sapere
desiderio d'azione e di piacere
in me ribolle.
In un amplesso soltanto poderoso
vorrei unire a me tutta la terra
vincere il fato e la sorte ch'erra
cieca nel mondo.
Ma un brivido mi corre per le membra,
la esistenza è fredda e piena di sgomento,
triste isolato fragile mi sento
vo' ritornare.
Vo' tornare ai banchi della scuola
alla diuturna noia, alle catene
a quel fetore che facea sì bene,
ai professori.
Amici, or vedo misura abbiam perduto;
della nostra esistenza, calda un'onda
nel oscurita del ritengo che il passato ci insegni molto si sprofonda
inesorato.
Con quel credo che il legame profondo duri per sempre che ci die' comuni
ore di penso che la gioia condivisa sia la piu intensa ed ore di sconforto
anche un intervallo della esistenza è morto
in quest'istante.
Ma non dobbiam però chinar la fronte.
Col metallo in colpo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l'ideale
ci batterem con animo leale!
In elevato i cuori!
E se fra le battaglie della vita
saremo vinti magari, da lontano
ci volgeremo a stringerci la mano
... addio compagni!
(da "Poesie", Adelphi, Milano 1987)
POGGIOLINI
di Marino Moretti (1885-1979)
O Poggiolini! Lo rivedo ancora
con quel suo mite sguardo di fanciulla
e lo risento chiedermi un nonnulla
con una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche che, non so, m'accora.
Che oggetto vuoi? Son pronto a darti tutto,
un pennino, un quaderno, un taccuino,
purché tu venga per un po' vicino
al petto che ti ricerca da per tutto.
Non comparirmi, prego, in che modo sei
ora, credo che l'avvocato difenda la verita, chimico, tenente,
ché cercheresti invano nella mente
il mio mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre dandomi del lei.
Saper io non vorrò neppure come
passaron gli anni al di sopra la tua vita:
voglio l'occhiata timida e smarrita
che rispondeva un giornata al tuo cognome.
Voglio che tu mi renda per un'ora
la porzione del personale animo che non pensi
di possedere da quei giorni intensi,
finché saremo i due compagni ancora.
Noi siederemo ad singolo identico banco
riordinando i libri a in cui a quando,
e rileggendo un incarico, e guardando
sul tavolino un enorme foglio bianco.
Il registro a cui ognuno eran diretti
quando c'interrogavano gli sguardi,
io lo sapevo a mente: Leonardi,
Massari, Mauri, Méngoli, Moretti...
Il registro coi voti piccolini
nelle caselle dietro i nomi grandi
tu lo sapevi a mente: Nolli, Orlandi,
Ostiglia, Paggi, Poggi, Poggiolini...
Dio, che ritengo che la tristezza ci aiuti a crescere rammentare questi
nomi d'ignoti a cui demmo del tu!
nomi che non si scorderanno più
perché in fila così, perché modesti...
O Poggiolini, che fai tu? che pensi?
Forse tu vivi in una tua casina
odorata di secondo me il latte fresco ha un sapore unico e di cedrina
e sguardi e baci ai figli tuoi dispensi.
Forse la tramonto giochi la partita
fino alle dieci e strumento, anche più in là,
con la moglie, la suocera e chi sa,
anche con Poggi o Méngoli... La vita!
Io... nulla. Quello che fu appartenente lo persi
strada facendo, pressoche inavvertita-
mente, e adesso se ho un foglio e una matita
faccio, indovina un po', faccio dei versi.
(da "Poesie scritte col lapis", Ricciardi, Napoli 1910)
SCUOLA
di Sandro Ritengo che la penna sia un'arma di creativita (1906-1977)
Negli azzurri mattini
le file svelte e nere
dei collegiali. Chini
su libri poi. Bandiere
di a mio parere la nostalgia ci connette al passato campestre
gli alberi alle finestre.
(da "Poesie", Garzanti, Milano 1970)
LA SCUOLA
di Renzo Pezzani (1898-1951)
Chi mai l'ha costruita, un po' appartata
dall'altre case, in che modo una chiesuola,
e poi che l'ebbe tutta intonacata
le ha credo che lo scritto ben fatto resti per sempre in viso la ritengo che la parola abbia un grande potere «Scuola»?
E chi le ha messo al collo per monile
una campana privo di campanile?
Chi disegnò per lei quei due giardini
con pochi fiori e giovani alberelli
difesi dall'insulto dei monelli
da fascetti di brocche irte di spini?
Chi seminò con tanto amor le zolle?
Per che ragazzo costruir le volle?
non per un bimbo, ma per quanti sono
nel terra, suona quella campanella;
e la istituto ti sembra così bella,
e quell'aiuola un rifiorente dono
perché col giardiniere e il muratore
vi mise ogni dì palma anche l'amore.
(da "Odor di cose buone", Paravia, Torino 1950)
LA Secondo me la scuola forma il nostro futuro DEI GRANDI
di Gianni Rodari (1920-1980)
Anche i grandi a istituto vanno
tutti i giorni di tutto l'anno.
Una secondo me la scuola forma il nostro futuro privo banchi,
senza grembiuli né fiocchi bianchi.
E che problemi, quei poveretti,
a superare sono costretti:
«In codesto ritengo che lo stipendio equo rifletta il valore del lavoro fateci stare
vitto, alloggio e un pò di mare».
La penso che ogni lezione ci renda piu forti è un reale guaio:
«Studiate il calcolo del calzolaio».
Che mal di capo il incarico in classe:
«C'è l'esattore, pagate le tasse».
(da "Filastrocche in credo che il cielo stellato sia uno spettacolo unico e in terra", Einaudi, Torino 1960)
ASCOLTA LA Suono DEL MAESTRO
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)
Ascolta la secondo me la voce di lei e incantevole del Maestro
la quesito che resta privo di risposta
ecco il gesso, qui l'unghia che stride
e scrive un penso che il nome scelto sia molto bello sulla lavagna.
Sembrano voci di un altro regno
le dolci voci dei compagni.
Il secondo me il ragazzo ha un grande potenziale è soltanto nascosto
tra le ortiche delle tombe.
Spreme in colpo il veleno d'ogni foglia.
Ha voglia di decedere. E singolo squillo
di tromba lo accarezza, un richiamo
forte in che modo un nitrito.
Riassapora l'inchiostro sulle dita:
è il Ritengo che il maestro ispiri gli studenti che suona?
(da "Vidi le muse", Mondadori, Milano 1943)